La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha stabilito che uno Stato membro non può impedire a un aspirante avvocato di svolgere il praticantato presso un legale dello stesso Stato, ma stabilito in un altro Paese dell'UE.
La sentenza C-807/23, pubblicata recentemente, riguarda nello specifico il caso di una cittadina austriaca che, pur lavorando in uno studio legale in Germania, aveva richiesto l'iscrizione al registro dei praticanti presso l'Ordine degli avvocati austriaco, cui era iscritto uno degli associati.
L'Ordine professionale austriaco aveva respinto la richiesta, sostenendo che la pratica dovesse essere svolta presso un avvocato stabilito in Austria.
La Corte Suprema austriaca ha quindi sospeso il procedimento, chiedendo alla Corte UE di risolvere la questione alla luce dell'articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, che garantisce la libera circolazione dei lavoratori.
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La Corte UE ha chiarito nella sentenza che, sebbene il diritto UE non abbia armonizzato i requisiti di accesso alla professione di avvocato e gli Stati possano imporre conoscenze e qualifiche specifiche, queste norme devono rispettare le libertà fondamentali del Trattato.
In particolare, le norme interne non possono costituire un ostacolo ingiustificato all'esercizio effettivo della professione.
Poiché i praticanti esercitano la loro attività come lavoratori subordinati retribuiti, la fattispecie rientra nell'ambito della libera circolazione dei lavoratori.
Pertanto, escludere l'esperienza professionale acquisita in un altro Stato membro dalla valutazione del praticantato comprime questa libertà, rendendo meno attrattiva la libertà di circolazione anche per i cittadini del Paese che introduce tali limiti.
Va sottolineato anche che la Corte ha precisato alcune possibilità di autonomia normativa degli stati che possono introdurre restrizioni, purché giustificate da motivi imperativi di interesse generale e rispettose del principio di proporzionalità.
La tutela dei destinatari dei servizi legali e la buona amministrazione della giustizia rientrano tra questi motivi.
Gli Stati possono quindi imporre restrizioni per garantire una reale esperienza della pratica del diritto nazionale, ma non possono vietare del tutto il praticantato in un altro Stato UE.
Le autorità competenti possono invece valutare l'adeguatezza del praticantato svolto presso un avvocato operante in un altro Stato membro, accertando se sia possibile acquisire un'esperienza soddisfacente del diritto nazionale.
Inoltre, la Corte ha osservato che, senza imporre preclusioni automatiche, sarebbe sufficiente richiedere prove adeguate e sufficienti sulla qualità delle attività di praticantato per assicurare una formazione equivalente a quella svolta in patria, salvaguardando così motivi di interesse generale come la tutela dei destinatari dei servizi legali.