Nel 2027 potrebbe scattare un nuovo innalzamento dell’età per andare in pensione, ma il Governo sta valutando diverse soluzioni per evitarlo, almeno in parte. La novità emerge dai dati Istat comunicati a fine marzo che hanno evidenziato un deciso aumento dell'aspettativa di vita nell'ultimo biennio.
Vediamo in questo articolo le novità in arrivo, gli interventi allo studio del Governo e cosa potrebbe cambiare per chi andrà in pensione nei prossimi anni.
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Alla base di tutto c’è l’adeguamento automatico dei requisiti pensionistici all’aspettativa di vita, previsto dalla legge dal 2011.
Questo meccanismo che scatta ogni due anni, fa sì che se la vita media si allunga, si posticipa in proporzione anche il momento dell’uscita dal lavoro.
Secondo i recenti dati Istat, la speranza di vita è aumentata di oltre sette mesi rispetto al biennio precedente, ma va considerato anche il calo registrato durante la pandemia.
Il risultato è un aumento di tre mesi dei requisiti pensionistici che dovrebbe scattare a partire dal 1° gennaio 2027, e viene già considerato dalla Ragioneria di Stato nelle proiezioni di spesa anche se non è stato ancora sancito dall'atteso decreto ministeriale
Potrebbero esserci provvedimenti di urgenza per bloccarlo.
Ricordiamo che ad oggi, si può accedere alla pensione di vecchiaia con 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi.
In alternativa, esiste la pensione anticipata contributiva, che prescinde dall’età anagrafica ma richiede:
Come detto, con l’adeguamento teoricamente previsto per il 2027, questi requisiti salirebbero rispettivamente a:
Per una panoramica leggi anche Età e requisiti per andare in pensione
Il Governo ha annunciato l’intenzione di congelare l’aumento dei requisiti legato all’aspettativa di vita, ma per il momento si parla di un intervento limitato ad alcune categorie.
In particolare, si punta a tutelare i cosiddetti “nuovi esodati”, ovvero i lavoratori che tra il 2020 e il 2024 hanno aderito ad accordi aziendali per l’uscita anticipata, tramite isopensione, contratti di espansione o agevolazioni previste dai Fondi di solidarietà bilaterali.
Secondo la CGIL infatti, oltre 44mila persone rischierebbero di trovarsi dal 2027 senza pensione e senza reddito a causa del cambiamento delle regole.
Il Governo, nello specifico il sottosegretario al Lavoro Durigon ha annunciato un intervento nel decreto legge “acconti fiscali”, in preparazione e atteso entro aprile, per salvaguardare questa platea, con un impatto stimato tra 150 e 250 milioni di euro.
Per tutti gli altri lavoratori, la situazione resta ancora incerta.
Un eventuale congelamento generalizzato della norma in vigore sui requisiti richiederebbe un intervento ben più costoso per le Casse statali, tra 1,5 e 2 miliardi di euro secondo le prime analisi del Ministero dell’Economia.
Dato il rallentamento della crescita economica e gli spazi di bilancio oltremodo limitati anche a causa della nuova congiuntura economica con i dazi americani sulle nostre esportazioni, il Governo potrebbe rimandare questa decisione alla prossima Legge di Bilancio.
Se non si interverrà in tempo, l’aumento scatterà come da normativa in vigore dal 1° gennaio 2027 Questo implicherebbe un ritardo di tre mesi per tutte le forme di pensionamento oggi previste.
Il dibattito politico è aperto anche in Parlamento: il Partito Democratico ha proposto una legge per congelare definitivamente l’adeguamento all’aspettativa di vita, fissando in modo strutturale i 67 anni come tetto massimo per la pensione di vecchiaia. Per ora, però, l’unico intervento concreto sembra riguardare solo i nuovi esodati. Tutti gli altri lavoratori dovranno attendere l’autunno per capire se il Governo riuscirà a trovare le risorse per evitare l’aumento dei requisiti nel 2027. Chi ha in programma di andare in pensione tra due anni dovrà quindi monitorare con attenzione l’evoluzione normativa e valutare, eventualmente, se anticipare l’uscita attraverso in qualche forma di scivolo pensionistico.