Con l’entrata in vigore della Legge 203/2024 (Collegato lavoro), a partire dal 12 gennaio 2025, sono state aggiornate le modalità di calcolo del periodo di prova nei contratti a termine, modificando il riferimento originario previsto dal D.lgs. 104/2022 che aveva una formulazione vaga. Le nuove regole introducono due precisi criteri da rispettare contestualmente :
- la proporzionalità alla durata del contratto ma anche
- un limite massimo invalicabile legato alla durata complessiva del rapporto di lavoro.
ATTENZIONE : questo secondo criterio deve essere rispettato anche dai contratti collettivi.
Con la circolare 6 2025 il Ministero ha fornito una precisa interpretazione della nuova normativa. Vediamo i dettagli.
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1) Limite minimo e massimo della prova nel contratto a termine
La normativa stabilisce dunque ora vincoli chiari per il periodo di prova, in relazione alla durata complessiva del contratto, con le tre situazioni seguenti.
1 - Per contratti a termine di durata non superiore a 6 mesi, la prova:
- non può essere inferiore a 2 giorni
- né superiore a 15 giorni
2 - Per contratti superiori a 6 mesi e inferiori a 12 mesi, il periodo massimo di prova sale a 30 giorni.
Per i contratti superiori a 12 mesi non c'è durata massima prefissata.
È importante notare che questi tetti non impediscono al datore di lavoro di inserire nel contratto un periodo di prova più ampio di quello calcolato col metodo dell’1/15, purché non si superino i limiti di 15 o 30 giorni, a seconda della durata complessiva del rapporto.
Un esempio pratico
Nel caso di un contratto a termine della durata di 11 mesi: applicando il criterio oggettivo (1 giorno ogni 15), avremmo 22 giorni di prova. Tuttavia, la norma consente fino a 30 giorni massimi per i contratti sotto i 12 mesi. Quindi, se non vi sono disposizioni collettive più restrittive, è possibile stabilire fino a 30 giorni di prova.
3 - Contratti superiori a 12 mesi: criterio proporzionale puro
In questo caso, secondo la circolare 6/2025 del Ministero del Lavoro, non si applicano più i tetti massimi di 15 o 30 giorni. Il calcolo segue unicamente il criterio del giorno ogni 15 giorni di calendario, anche se il risultato supera i 30 giorni. Ad esempio, un contratto di 18 mesi (circa 540 giorni) darebbe diritto a un massimo di 36 giorni di prova.
2) Quando prevale il contratto collettivo?
Come detto, la disciplina collettiva può prevedere una durata specifica del periodo di prova per i contratti a termine.
Secondo la circolare del Ministero del Lavoro, bisogna privilegiare l’ipotesi più favorevole al lavoratore, in linea con l’obiettivo di ridurre l’area di precarietà. In pratica:
- Si calcola la durata secondo il criterio di legge (1/15).
- Si verifica se il CCNL applicato prevede un diverso periodo di prova per i contratti a termine.
- Si sceglie la soluzione che comporta una durata più breve.
È quindi possibile che un contratto collettivo prevalga, ma solo se garantisce una prova più breve rispetto a quella stabilita dalla legge. Al contrario, non può mai superare i tetti massimi normati per legge.
ATTENZIONE : Va comunque ricordato che le circolari ministeriali non sono fonti normative di rango primario cioè possono essere messe in discussione dalla giurisprudenza in caso di contenzioso.
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3) Durata periodo di prova in sintesi e tabella
Durata contratto | Periodo di prova (criterio 1/15) | Limite minimo | Limite massimo | Note |
---|---|---|---|---|
≤ 6 mesi | 1 giorno ogni 15 giorni | 2 giorni | 15 giorni | Tetto massimo inderogabile |
> 6 e ≤ 12 mesi | 1 giorno ogni 15 giorni | Calcolo proporzionale | 30 giorni | Tetto massimo inderogabile |
> 12 mesi | 1 giorno ogni 15 giorni | Non specificato | Nessuno | Si applica solo il criterio proporzionale |
Stesse mansioni | Non ammessa nuova prova | – | – | Divieto di nuovo patto di prova |
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4) Il caso del rinnovo del contratto
Un altro principio importante da ricordare riguarda il rinnovo del contratto a termine. Se il rapporto è rinnovato per lo stesso lavoratore e per le stesse mansioni, non è ammesso un nuovo periodo di prova.
Lo stabilisce in modo esplicito l’articolo 7 del D.lgs. 104/2022. L’assenza di variazioni nel contenuto della prestazione rende infatti inutile (e illegittima) una nuova valutazione dell’idoneità.